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28 Gen / “The Cave”: il documentario sull’ospedale sotterraneo candidato agli Oscar 2020

Locandina documentario The cave

Ghouta, Siria orientale. A pochi chilometri da Damasco, tra le rovine di una città distrutta dai bombardamenti, si trova un ospedale sotterraneo segreto. Qui lavora giorno e notte dal 2013 la dottoressa Amani Ballour, una giovane pediatra che per due anni è stata anche direttrice dell’ospedale, tra le rimostranze di molti uomini che la vorrebbero sposata e reclusa in casa.

È questa la storia di “The Cave”, candidato al Premio Oscar come miglior documentario 2020, opera del regista siriano Feras Fayyad – autore di un’altra premiatissima pellicola, “Last Men in Aleppo”, per la quale ha ricevuto la prima candidatura alla statuetta più ambita nel cinema. Non è chiaro però se Fayyad e Ballour riusciranno ad essere presenti la notte degli Oscar: il Dipartimento di Stato americano ha negato loro il visto per entrare negli Stati Uniti, perché la Siria è uno dei paesi inclusi nel travel ban voluto da Trump nel 2017.

La storia della dottoressa Ballour ha raggiunto anche il Consiglio D’Europa, che l’ha insignita poche settimane fa del premio “Raoul Wallenberg” per la sua azione umanitaria eccezionale. La sua lotta per la tutela della vita, della salute psico-fisica e del sollievo dalla sofferenza è un modello per i medici di tutto il mondo.

 

Il presidio medico diretto da Amani Ballour è un luogo di salvezza per migliaia di pazienti

In Siria, la guerra civile scoppiata nel 2011 in seguito alla primavera araba ha causato la distruzione di intere città. A Ghouta, uno dei territori maggiormente colpiti, i bombardamenti e gli attacchi chimici non hanno risparmiato neanche gli ospedali e i centri medici. E così, a partire dal 2013, i sopravvissuti hanno iniziato a costruire un ospedale sotterraneo, dotato di sale operatorie e incubatrici, collegato a tutte le aree della città attraverso tunnel labirintici e corridoi bui e umidi.

Nello stesso anno il regista Feras Fayyad, rifugiatosi in Danimarca dopo una prigionia lunga più di un anno, scopre quasi per caso Amani Ballour scorgendola soccorrere i feriti tra le macerie in un video inviatogli da un amico. Curioso di sapere chi sia quella donna, fa qualche ricerca e viene a sapere della sua storia.

La dottoressa Amani Ballour è una giovane pediatra che dirige con competenza e coraggio la “caverna”. Sotto il rumore assordante delle bombe, il personale medico e paramedico lavora in condizioni precarie: le sale operatorie e gli ambulatori sono angusti e affollati, i medicinali e il cibo scarseggiano e i pazienti da curare sono tanti, troppi. In mezzo all’orrore, Fayyad cattura anche scene quotidiane in cui l’equipe cerca di ritrovare una sorta di normalità: li vediamo soffiare le candeline per festeggiare un compleanno, per esempio. C’è poi un chirurgo che opera con la musica classica in sottofondo, perché aiuta a distrarre i pazienti quando finiscono le scorte di anestesia.

 

La lotta di Amani Ballour per la tutela della vita e contro il patriarcato

Nel 2016, quando i suoi colleghi la eleggono a capo della “Cave”, la pediatra ha soltanto 29 anni. Originaria di Ghouta, Ballour si trasferisce a Damasco per studiare medicina, conseguendo la laurea nel 2012. Si iscrive poi alla specializzazione in pediatria, ma non riesce a terminare gli studi: con l’aggravarsi della guerra la raggiungono notizie di stragi quotidiane, e lei sente il bisogno di tornare nella sua città e rendersi utile. Comincia curando i bambini feriti dai bombardamenti nei pronto soccorso delle aree più remote della provincia. Poi, nel 2013, inizia a lavorare nella “Caverna”.

Il 2013 è l’anno segnato da un punto di non ritorno nella guerra civile siriana. Alle 2.30 del mattino il Presidente Bashar al Assad ordina il rilascio di armi chimiche contro i civili. Questo è il culmine di un conflitto che negli anni ha visto aerei russi bombardare ospedali e raffiche di artiglieria colpire obiettivi in maniera indiscriminata. Durante l’attacco, la dottoressa Amani aiutò con le operazioni di salvataggio e di primo soccorso, appuntandosi dettagli e storie usate in seguito per denunciare l’accaduto sulla stampa internazionale. Nel marzo 2018 l’ennesimo bombardamento distrugge la “Caverna”, e Ballour è costretta a lasciare la Siria. Attualmente vive in Turchia.

Oltre ai problemi legati al reperimento di medicinali e la difficoltà di uscire rischiando di restare vittima di un attacco aereo, Ballour convive quotidianamente con il sessismo e il conservatorismo patriarcale di molti dei suoi pazienti. A quegli uomini che rifiutano la sua autorità e le sue cure – talvolta persino di essere toccati – dicendole che dovrebbe sposarsi e stare a casa a badare alla famiglia, lei risponde: “Nessuno mi può dire cosa fare”. In un’altra scena, in difficoltà nel reclutare nuove infermiere, riflette: “La religione è soltanto uno strumento usato dagli uomini per dominare le donne”. Nonostante gli ostacoli, nel suo staff Amani dà lavoro a molte donne e, tra una visita e l’altra, incoraggia le bambine a farsi rispettare.

 

Il premio del Consiglio d’Europa “Raoul Wallenberg” e la notte degli Oscar

Il lavoro di Amani Ballour e Feras Fayyad ha ricevuto due riconoscimenti prestigiosi. “The Cave” (2019) è tra i candidati alla notte degli Oscar, che si svolgerà il 9 febbraio, e contribuirà così a dare visibilità internazionale alla tragica situazione in cui versa la Siria (grazie anche a un altro documentario siriano che si contende la statuetta, “Alla mia piccola Sama”).

Poche settimane fa Amani Ballour è stata inoltre insignita dal Consiglio d’Europa del premio “Raoul Wallenberg”, che ogni due anni ricompensa le azioni umanitarie eccezionali. Il Presidente della FNOMCeO (Federazione nazionale degli ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), Filippo Anelli, commenta la notizia dell’assegnazione del Premio con queste parole:

“Ci felicitiamo per la decisione del Consiglio d’Europa di insignire del prestigioso Premio Raoul Wallenberg […] un medico, la pediatra siriana Amani Ballour, per il coraggio, l’impegno e la determinazione nel salvare centinaia di vite umane durante la guerra in Siria. Con il suo operato, Amani Ballour ha dato viva manifestazione dei principi fondanti la nostra professione, per i quali dovere del medico sono la tutela della vita, della salute psico- fisica e il sollievo dalla sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzione alcuna di età, sesso, etnia, religione, nazionalità, condizione sociale, ideologia, in tempo di pace e in tempo di guerra”.

Mentre Marija Pejcinovic Buric, Segretario generale del Consiglio D’Europa, motiva la scelta affermando che il diritto alla vita e alla salute sono diritti di umanità prima ancora che di cittadinanza; sono i principi fondamentali dai quali scaturiscono tutti gli altri. Nelle sue parole: “È proprio questa tutela del diritto alla salute che può infondere speranza ai disperati, consolare gli afflitti e preservare la dignità, anche quando sembra ormai compromessa.”

 

Fonte: National Geographic

By Redazione in Healthcare, News